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fisco

 FISCO
Il fisco italiano si poggia su imposte pagate in grandissima parte da lavoratori e pensionati, anche perché,
come detto, troppi redditi sono “fuggiti dall’IRPEF”, unica imposta progressiva del nostro ordinamento.
Parliamo ad esempio delle rendite finanziarie (tassate al 26% o al 12,5% se derivanti da titoli di Stato), delle
plusvalenze di capitali (26%), del reddito da lavoro autonomo in flat tax 15%, delle rendite immobiliari tassate
al 21% o al 10% se a canone concordato. Per questo ogni proposta di riforma fiscale proposta negli anni dalla
CGIL, anche unitariamente, è sempre partita dalla richiesta di estendere la base imponibile IRPEF, applicare
la progressività e far pagare di più i redditi più elevati, cosa che ad oggi accade praticamente solo per i redditi
da lavoro. Senza una preventiva base imponibile più ampia anche la migliore e più progressiva IRPEF avrebbe
effetti poco rilevanti. La legge Delega per la riforma del fisco recentemente presentata dal Governo, invece,
va nella direzione opposta. Punta ad escludere ancora più redditi dall’IRPEF. Il disegno appare chiaro: lasciare
solo sulle spalle di lavoratori e pensionati il peso dell’IRPEF, e nei fatti il peso del mantenimento dei servizi
pubblici.
Di 577 miliardi di euro di entrate correnti:
• 221 miliardi provengono dall’IRPEF, imposta pagata al 90% da dipendenti e pensionati. Essa
nasce come pilastro principale delle entrate dirette in un contesto (anni 70 del secolo scorso)
in cui i redditi da lavoro erano i 2/3 del PIL. Essa continua ad essere la principale voce di
entrata anche ora che tale quota è sotto il 50%. Allo stesso tempo si assistito all’esclusione di
molti redditi dalla base imponibile IRPEF: il prelievo sul lavoro si è quindi inasprito, nel corso
degli ultimi decenni.
• 197 miliardi sono le entrate dell’IVA, versata dagli operatori economici ma pagata dai
consumatori (quindi, di nuovo, in buona parte da lavoratori e pensionati). L’IVA è tra le
imposte più evase, anche quando regolarmente pagata dai consumatori.
• 42 miliardi è l’ammontare dell’IRES, l’imposta sul reddito delle imprese.
• 35 miliardi è il gettito delle imposte sulla produzione (accise)
• Il gettito di tutte le imposte sostitutive dell’IRPEF, ad esempio cedolari, tassazione separata
di redditi in forfait o sulle rendite, non arriva a 30 miliardi di euro. È evidente che vi sono
quindi tutta una serie di redditi personali, spesso appannaggio dei contribuenti più ricchi, che
non concorrono al mantenimento della spesa pubblica.
Può essere utile una tabella per confrontare il prelievo IRPEF rispetto al reddito da lavoro autonomo in flat
tax. Il regime flat tax nasceva per i contribuenti “marginali” con al massimo 30.000 euro di ricavi. Il governo
con l’ultima Legge Bilancio ha esteso tale soglia fino a 85.000 con questi risultati:

  Lavoratore autonomo in flat tax Lavoratore dipendente
Ricavo  85.000,00 €  
Reddito  66.300,00 €  66.300,00 €
Imposta  7.361,29 €  18.811,00 €
     
Ricavo  75.000,00 €  
Reddito  58.500,00 €  58.500,00 €
Imposta  6.495,26 €  15.763,00 €
     
Ricavo  50.000,00 €  
Reddito  39.000,00 €  39.000,00 €
Imposta  4.330,17 €  8.004,00 €
     
Ricavo  38.462,00 €  
Reddito  30.000,36 €  30.000,36 €
Imposta  3.330,94 €  4.450,00 €
     
Ricavo  30.000,00 €  
Reddito  23.400,00 €  23.400,00 €
Imposta  2.598,10 €  3.182,00 €

 Oltre alla macroscopica sproporzione nelle imposte dirette e l’ingiustizia di un tale trattamento di favore per
gli autonomi rispetto ai dipendenti, è importante segnalare che anche all’interno del lavoro autonomo tale
regime fiscale favorisce i contribuenti più ricchi e sfavorisce quelli poveri, disincentiva investimenti ed
assunzioni (con la determinazione forfetaria del reddito) e favorisce, con un grande risparmio di costi, la
creazione di false partite IVA in luogo del lavoro dipendente.
I beni e i servizi pubblici sono in genere (giustamente) universali. Chiunque acceda ad un ospedale viene
curato. Tutti possono e devono poter accedere all’istruzione pubblica. Ma questi servizi, di cui tutti fruiscono,
sono pagati dal lavoro dipendente e dalle pensioni. Pensiamo anche ai contributi previdenziali, prelevati sui
redditi da lavoro.
E l’ingiustizia si acuisce ancor di più per i servizi locali. I redditi sottoposti a tassazione separata non sono
soggetti alle addizionali regionali e comunali. Se a questo aggiungiamo il progressivo svuotamento dell’IRAP
ed il progetto di superamento della stessa imposta dichiarato nella legge delega, appare chiaro che si voglia
un welfare pubblico fruibile da tutti ma pagato solo dal mondo del lavoro.
In Italia c’è poi un enorme problema di evasione fiscale. Circa 100 miliardi di euro ogni anno sottratti alle
finanze pubbliche. Con la tracciabilità e l’incrocio delle banche dati già a disposizione delle agenzie fiscali
l’evasione potrebbe ridursi di molto, e già la partenza di questi strumenti, negli scorsi anni, ha ridotto
l’evasione di quasi 20 miliardi. La delega fiscale dichiara di voler continuare su questa strada, ma
contemporaneamente riduce le sanzioni e depotenzia le indagini tributarie. Nei suoi atti concreti, inoltre, il
Governo ha già approvato una quantità di condoni in Legge Bilancio 2023 oltre ad un recente condono sui
reati tributari (quindi per i grandi evasori) nel DL 34/2023 ( si prevede che nel caso di omesso versamento
delle ritenute alla fonte per importi superiori a 150.000 euro -reclusione da sei mesi a due anni-, mancato
versamento dell’Iva per un importo superiore a 250.000 euro, -reclusione da sei mesi a due anni-,
indebita compensazione di crediti per un importo maggiore a 50.000 euro -da un anno e sei mesi a sei
anni- sia possibile versando il dovuto senza maggiorazioni, evitare gli effetti penali, anche se condannati
in primo grado).
La Legge Delega per la riforma del fisco 2023 presenta diverse criticità. Abbiamo già trattato dell’erosione
della base imponibile IRPEF, ma non finisce qui. La legge si propone l’obiettivo di una IRPEF ad aliquota unica,
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la flat tax, che favorisce i redditi più elevati ad un costo molto elevato (le proposte fatte in campagna elettorale
dai partiti della maggioranza avevano un costo attorno ai 20 miliardi), un costo che risulta inaccettabile se poi
deve servire a ridurre soprattutto le imposte ai più ricchi. Gravissimo è anche avere previsto un “concordato
biennale preventivo” per le imprese: in pratica il Fisco si accorderà per un reddito presuntivo e si accontenterà
di quello nel successivo biennio, lasciando detassato al contribuente ogni ulteriore guadagno. Aggiungiamo
che con l’unificazione di redditi di capitale e redditi diversi si favoriranno arbitraggi ed elusione, con
conseguenze di riduzione del gettito che la dirigenza dell’Agenzia delle Entrate in audizione ha definito “Non
quantificabile”. La delega si propone inoltre di assoggettare a cedolare secca i canoni d’affitto degli immobili
commerciali, un grande favore ai grandi proprietari di “mura” dei negozi. Si propone inoltre di ridurre
l’aliquota IRES. E abbiamo già detto del superamento dell’IRAP.
Certo, nel DEF recentemente approvato il Governo si propone di incrementare la decontribuzione di circa 3
miliardi di euro. Questo provvedimento è insufficiente, ma la motivazione che spinge il governo a questo
provvedimento è forse ancora più grave. Sostiene, infatti, di voler ridurre le imposte per evitare la crescita dei
salari e la spirale salari-prezzi in chiave anti-inflazione. È esperienza di tantissimi lavoratori quanto le buste
paga siano rimaste al palo, tutt’altro che avviluppate in una rincorsa tra aumenti salariali e dei prezzi. Certo,
i prezzi aumentano, ma non per causa di salari troppo alti. Sono invece i profitti che, affatto moderati o fermi,
crescono alimentando l’inflazione. Ma non sembra, questa, una priorità per il Governo.
Per il 2024 il Governo annuncia ulteriori 4 miliardi per la riduzione del cuneo lato lavoratori. Il problema, in
questo caso, è che anche solo per prorogare le misure di decontribuzione attualmente in vigore messe in
campo su nostra richiesta da Draghi prima e da Meloni poi, le quali, ricordiamo, sono temporanee e in vigore
per il solo 2023, servirebbero attorno ai 7 miliardi. L’attuale decontribuzione è insufficiente, le risorse
previste per il 2024 sono ancora più insufficienti.
La CGIL crede che si debba operare una riduzione del cuneo contributivo di almeno 5 punti sui redditi medi
e bassi, accompagnata da una riforma strutturale che indicizzi le detrazioni da lavoro e da pensione
all’inflazione (fiscal drag), per fornire una protezione di base dei redditi dall’inflazione, presente e futura.
Le recenti dichiarazioni di esponenti del Governo e della sua maggioranza su strumenti fiscali a sostegno
della natalità oltre ad apparire estemporanee, sono anche scoordinate rispetto al progetto di legge delega
fiscale. L’introduzione di una detrazione di 10.000 euro per ogni figlio a carico e una diversa proposta del
Ministro Giorgetti sulla detassazione totale per le famiglie con figli sono entrambe infattibili, irrazionali e
anche pericolose. Innanzitutto, se venissero erogati 10.000 euro per ciascuno dei 10 milioni di minori del
nostro paese, il costo ammonterebbe a quasi 100 miliardi di euro. Se si volessero includere tutti i figli, anche
maggiorenni, ancora a carico delle famiglie, il costo raggiungerebbe livelli ancora più insostenibili, ed è utile
ricordare che nel recente DEF il Governo ha certificato che le risorse disponibili per tutte le politiche del 2024
ammontano a 4 miliardi di euro. Tuttavia, trattandosi di una detrazione, il costo probabilmente sarebbe
inferiore, perché ne sarebbero totalmente esclusi gli incapienti (quindi i lavoratori e i pensionati poveri) e
parzialmente esclusi i redditi medi e bassi. La detrazione spiegherebbe invece pienamente i suoi effetti sui
redditi più alti, in possesso di una capienza Irpef di 10.000 euro per ogni figlio. In dettaglio su 40 milioni di
contribuenti circa 35 milioni avrebbero vantaggi parziali o nulli per incapienza. In presenza di due figli a
beneficiare integralmente delle detrazioni sarebbe solo il 5% più ricco dei contribuenti. Sarebbe quindi un
provvedimento fortemente regressivo, tanto più che, con l’assegno unico, si è riusciti a superare l’assurdità
per cui esistevano famiglie “troppo povere per percepire la detrazione per i figli”. Ancora più grave è la
motivazione: si intende rispondere alla denatalità con il sostegno diretto per via fiscale alle famiglie, senza
prevedere politiche e risorse per la condivisione vita-lavoro quindi servizi pubblici per l’infanzia, sostegno
all’istruzione, risorse per la non autosufficienza, politiche abitative e in generale al welfare e soprattutto
senza prevedere politiche per l’occupazione femminile che vede il nostro paese molto lontano dalla media
europea di partecipazione al lavoro. La CGIL crede che queste dichiarazioni, oltre a creare false aspettative,
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trasudino una visione classista e individualista della società, un disconoscimento del patto sociale che è alla
base della convivenza e della crescita materiale e morale del nostro Paese.
DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA (DEF 2023)
Il Documento di economia finanza 2023 non è adeguato alla fase che sta attraversando il Paese.
Siamo consapevoli della difficoltà e delle variabili che rischiano di incidere negativamente (la guerra,
il rialzo dell’inflazione) e di determinare una fase di incertezza, oltre al fatto che nella definizione del
DEF andrà introiettata la scelta di Governance economica dell’Europa. In attesa di tale riforma si
sceglie una politica di bilancio restrittiva – analogamente ai Governi tecnici – programmando il
rapporto deficit/pil in discesa fino al 2,5% nel 2026, perdipiù in presenza di politiche monetarie
restrittive che deprimono la crescita.
Ma al netto di queste variabili, c’è un dato incontrovertibile e cioè che l’economia del nostro Paese
dopo il rimbalzo post-covid, si sta incamminando verso gli usuali - purtroppo - sentieri di crescita
modesti se non modestissimi. Paradossalmente, le previsioni di crescita del Governo risultano
superiori a tutte quelle calcolate dai principali istituti nazionali e internazionali. A questo “ottimismo”
si affida la possibilità e la copertura di tutte prossime misure incluse quelle della legge di bilancio.
L’unico intervento di politica economica a sostegno della domanda è la pur insufficiente riduzione
del cuneo che determinerebbe lo 0,1% di crescita aggiuntiva (nel confronto tra tendenziale e
programmatico). Inoltre, si programma un contributo negativo della spesa pubblica alla crescita del
pil di circa 44 miliardi in termini reali nel biennio in corso.
Allo stesso tempo, mancano quelle risposte strutturali per limitare i prezzi e la speculazione e
sostenere i redditi da lavoro e pensione anche per via fiscale (a conferma di tale mancanza nel
quadro economico e programmatico si prevede una ulteriore perdita del potere di acquisto dei salari
di 4 punti fino al 2026) e gli interventi necessari per sostenere la coesione sociale attraverso le
politiche per l’inclusione a partire dal contrasto alla povertà, il sostegno ai presidi di cittadinanza
come sanità, istruzione e non autosufficienza.
Anche sul versante degli investimenti non rileviamo il sostegno di risorse nazionali aggiuntive al
Piano di ripresa e resilienza e ai Fondi strutturali: infatti, solo ed esclusivamente alla capacità del
Paese di spendere tutte le risorse sono affidate le sorti della crescita. Il nodo delle risorse è quindi
centrale nella valutazione del DEF 2023: in questo senso si sta continuando a prevedere il carico
dell’inflazione, delle spese per sanità, istruzione e stato sociale gravi sulle spalle di lavoratori e
pensionati, senza aggredire gli extraprofitti e i profitti che si stanno determinando. Prove ne è
l’attenzione dedicata ad evitare la spirale salari-prezzi e non a contrastare la spirale profitti-prezzi.
Crediamo che questo quadro non sia più sostenibile per i milioni di persone che rappresentiamo.
Sottolineiamo in particolare sei punti:
1) Emergenza salariale e di reddito. Si annuncia un provvedimento di riduzione del cuneo fiscale
per circa 3 miliardi di euro nel mese di maggio. Come è noto, è una richiesta della nostra
organizzazione. Ma per essere efficace servono due condizioni: che si arrivi al 5% del cuneo sui
redditi medi e bassi e che tali interventi siano strutturali e accompagnati dal meccanismo di fiscal
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drag (indicizzazione delle detrazioni) per evitare che la partita contrattuale sia vanificata dagli
effetti dell’inflazione che rimarrà alta per tutto il 2023. Segnaliamo il fatto che la prossima Legge
di bilancio 2024, oltre a confermare la riduzione del cuneo per 3 miliardi, dovrà confermare
anche i precedenti interventi messi in campo dal Governo Draghi e dalla Legge di bilancio 2023.
Sul fiscal drag non vi sono menzioni ed è uno strumento che abbraccia sia la platea del lavoro
dipendente e autonomo (non in flat tax) che i pensionati. Servono 10 miliardi per confermare
queste misure e introdurre l’indicizzazione delle detrazioni.
2) Spesa per istruzione, sanità, non autosufficienza. Il DEF programma una riduzione delle risorse
disponibili in rapporto al PIL. Per 2023 c’è una discesa delle risorse dello 0,3 nella sanità: ciò
significa che sostanzialmente non si dà risposta all’emergenza che sta attraversando la sanità
pubblica. Stessa fotografia per l’istruzione. Mentre per la non autosufficienza nonostante la legge
delega approvata, non ci sono le risorse adeguate a sostenerla. Tutto ciò significa inoltre la
mancanza del finanziamento di un piano di occupazione pubblica che possa rispondere da un
lato all’elevato numero di pensionamenti e dall’altro rafforzi e qualifichi il sistema pubblico ben
oltre il turn over.
3) Delega fiscale. Altro tema è la delega fiscale che si pone obiettivi -da noi non condivisi - di
intervento sulle imposte personali, Iva e Ires. Anche in questo caso a parte i 4 miliardi che
dovrebbero essere destinate al cuneo per il 2024, non ci sono risorse stanziate. Ciò significa che
tutto sarà reperito all’interno del sistema fiscale, con notevoli difficoltà. Sottolineiamo che si
prosegue misure che vanno nella direzione di nuovi condoni o addirittura di non punibilità penale
dell’evasione come nel recente decreto 34/2023 e che non depongono a favore di una seria lotta
all’evasione fiscale.
4) Rinnovo contratti pubblici. In sintesi, si prevedono i rinnovi ma senza risorse. La stagione
contrattuale appena chiusa, non fa i conti con l’impennata dell’inflazione. Quindi è necessario a
partire dalla prossima legge di bilancio prevedere risorse adeguate a finanziare il rinnovo dei
contratti per il triennio 22-24 dei settori pubblici.
5) Investimenti e rapporto con PNRR. L’impatto sulla crescita degli investimenti del PNRR a fine
2026 è di circa 3,6% punti di Pil, a patto che si riescano a spendere queste risorse. Intanto però
sottolineiamo che questo impatto stimato non determina una significativa riduzione dei livelli di
disoccupazione e un aumento consistente dell’occupazione. Inoltre, si è aperta una
interlocuzione con l’Europa sulla revisione dei progetti di spesa… quindi anche in questo caso
dipende molto se quali progetti e per quali finalità verranno ridefiniti. Anche per queste ragioni
il dato è poco significativo. A fronte della transizione verde e digitale confermiamo la necessità
di costituire un soggetto pubblico – una Agenzia per lo sviluppo – per la definizione delle nuove
politiche industriali per l’innovazione e sviluppo sostenibile.
6) Previdenza. Il superamento della cosiddetta Legge Fornero è ulteriormente rimandato. Non solo.
Anche le piccole misure (es. quota 103, opzione donna) da confermare per il prossimo anno, non
hanno copertura sufficiente.
Roma, 21 aprile 2023